Dicono e non fanno
Dal vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo:
«Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito.
Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange; si compiacciono dei posti d’onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati “rabbì” dalla gente.
Ma voi non fatevi chiamare “rabbì”, perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate “padre” nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. E non fatevi chiamare “guide”, perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo.
Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato».
Gesù, nella contrapposizione con gli
scribi e i farisei, sta indicando ai suoi discepoli e alla folla a cui si
rivolge che cosa desidera realizzare con la loro adesione: un nuovo gruppo che
poi successivamente sarà chiamato con il nome di cristiani. Gesù indica come
vuole i suoi: ma voi non fatevi chiamare rabbì, uno solo è il maestro, i suoi
sono coloro che si lasciano ammaestrare da Lui; non chiamate padre nessuno di voi
sulla terra perché uno solo è il Padre vostro quello celeste, i suoi sono
quelli che hanno una relazione profonda con il Padre; non fatevi chiamare guide
perché una sola è la vostra guida, il Cristo: sono coloro che si lasciano
guidare. L'attualizzazione per noi è già chiara: il Signore c'invita ad avere
queste coordinate nella vita e non averle soltanto esteriormente, ma in quella
sintonia che ci deve essere tra dire e fare, tra il cuore e l'azione. Questo
denuncia negli scribi e nei farisei: hanno pervertito la stessa religione
perché la religione è relazione con Dio, loro invece l'hanno usata e la usano in modo
strumentale per essere primi, sono ipocriti, dicono ma non fanno. Noi cristiani
invece dobbiamo vivere questa sintonia fra dire e fare. Gesù si sta riferendo ad
un livello di scelta, di volontà: queste persone non vogliono portare quel che mettono
sulle spalle degli altri, non vogliono: quindi c'è una decisione! Siamo oltre
cioè la costatazione della debolezza umana che porta da una parte il desiderio di
vivere in conformità a quello che ci dice il Signore, e dall'altra la
costatazione della nostra debolezza. Queste persone sono viste da Dio con quella
compassione che diventa invito a vivere sempre più una vita conforme al
Vangelo, a togliere sempre più dal cuore, con l'aiuto della grazia, le varie
dimensioni di falsità che però minacciano e si annidano in qualche misura anche
nel nostro cuore. Dobbiamo togliere da noi quella terribile tentazione che è l'applauso,
il consenso: amano andare nelle piazze, occupare i primi seggi: fanno tutto in
funzione di questo primato che vogliono dare a se stessi, primato che di fatto
li costringere ad essere prigionieri di sé, perché la vera libertà sta nell'aprirsi,
sta nella relazione, in quella relazione fondante che domenica scorsa il
Signore ci aveva indicato: amare Dio con tutto noi stessi e il prossimo come
noi stessi.
Gesù ci chiama ad essere persone che
non dividono la vita dalla fede: è il pericolo di oggi. La cultura che ci
circonda cerca di dire: vai pure alla Messa ma non dire nulla di quello che poi
è conseguenza dell'andare alla Messa; vivi la tua religione ma nella tua stanza
privata. E invece no, non è possibile questo perché la forza dirompente del
Vangelo non può rimanere contenuta nel cuore, ha bisogno di essere comunicata.
E può esserlo soltanto nella misura in
cui la viviamo, ecco il testimone: cioè colui che prime "vede" e poi
dice.
Per esempio il Signore, oggi,
attraverso la seconda lettura, ci comunicava la gioia di Paolo per la comunità
di Tessalonica alla quale riconosceva il merito di aver "accolto la
Parola di Dio non quale parola di uomini ma com'è veramente, come parola di Dio
che opera in voi credenti". La coerenza ci chiede di vivere questa verità,
e questa situazione non è così lontana da noi: qui abbiamo ascoltato la parola,
ma come l'abbiamo accolta, come parola di uomini o come parola di Dio? La
parola degli uomini lascia il tempo che trova, ma la parola di Dio fa il più
grande miracolo, opera in noi una trasformazione, ci configura a Cristo, ci innalza
alla dignità divina di figli di Dio. Questa parola opera però solo nei
credenti, va cioè accolta con fede, il cristiano in definitiva è colui che dà
disponibilità e collabora con questa azione, che permette ad essa di purificare il proprio
cuore affinché la mente sia in sintonia con il cuore, la parola con l'azione,
la vita con la fede, il Vangelo con la nostra quotidianità.
Anche la partecipazione alla
liturgia ha bisogno di questa purificazione. Come dice il Concilio Vaticano II
nella Sacrosanctum Concilium (n°11) perché la liturgia sia efficace è
necessario che i fedeli vi si accostino "con retta disposizione d'animo,
armonizzino la loro mente con le parole che pronunziano e cooperino con la
grazia divina per non riceverla invano." Armonizzare la mente con le
parole chiede proprio una coerenza interiore: così parteciperemo veramente
alla liturgia che celebriamo.
Infine la regola che dovrà governare
la nuova comunità che Gesù vuol fondare è quella del servizio: "chi tra
voi vorrà essere più grande sarà vostro servo". Gesù dice questo prima di
tutto con la sua stessa vita, è lui il vero Servo e solo da lui possiamo
imparare anche noi ad esserlo. Dobbiamo allora permettere a Gesù di servirci e
lui lo fa proprio nella Liturgia Eucaristica dove viene, si fa nostro servo per
trasformare il nostro cuore è renderlo simile al suo.