venerdì 30 dicembre 2011

Natale del Signore 2011

Vangelo  Lc 2,1-14
Oggi vi è nato il Salvatore.
 

Dal vangelo secondo Luca

In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. Questo primo censimento fu fatto quando Quirinio era governatore della Siria. Tutti andavano a farsi censire, ciascuno nella propria città.
Anche Giuseppe, dalla Galilea, dalla città di Nàzaret, salì in Giudea alla città di Davide chiamata Betlemme: egli apparteneva infatti alla casa e alla famiglia di Davide. Doveva farsi censire insieme a Maria, sua sposa, che era incinta.
Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio.
C’erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all’aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande timore, ma l’angelo disse loro: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia».
E subito apparve con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste, che lodava Dio e diceva:
«Gloria a Dio nel più alto dei cieli
e sulla terra pace agli uomini, che egli ama».




Cesare Augusto ordina il grande censimento su tutta la terra. La potenza dell'impero romano si manifesta: tutti sono costretti ad andarsi a registrare, così anche Giuseppe nonostante il momento delicato che sta vivendo Maria sua sposa, era infatti incinta. Ecco che a Betlemme avviene il vero evento che cambia la storia, raccontato in forma semplice, sintetica, Maria dà alla luce il suo figlio primogenito. La scena è di estrema normalità e povertà, non c'è neanche posto per loro nella parte abitata della casa (l'alloggio), devono ricorrere alla parte meno nobile, dove stanno gli animali: una mangiatoia fa da culla. L'evento culmine della storia, la chiave di lettura di tutto, il Dio fatto uomo non ha niente, viene povero. Si rivela fin da ora la modalità con cui Dio entra nella storia e la guida, non la potenza di questo mondo, ma la debolezza: è già anticipato lo "scandalo della croce".
I pastori accolgono questo annuncio: Dio non soltanto sceglie di entrare nel mondo nella povertà ma sceglie di essere adorato dai poveri, i pastori. Categoria ritenuta insignificante e tante volte disprezzata.
Quando l'uomo entra in contatto con Dio lo spavento spesso lo assale, ma Dio rassicura sempre. La gioia è invece l'elemento chiamato a dominare i cuori, così in questo brano e in tutta la rivelazione che Dio fa di sé. Senza Dio non c'è gioia vera, e oggi dobbiamo particolarmente scoprire questa dimensione perché Dio stesso vuole donarcela.

Oggi, nella città di Davide, è nato  per voi un Salvatore, che Cristo Signore.
Ecco il vero evento della storia: è nato un Salvatore. Anche per noi, oggi, è Natale del Signore: lui nasce, nasce nel nostro oggi e viene come Salvatore per dare senso e riempire la nostra vita. 
È necessario però accoglierlo come tale. 
- Accettare che Dio non si riveli nei segni della potenza mondana, ma nella debolezza. Questo comporta anche un cambiamento, una conversione, i nostri gesti le nostre azioni non possono più essere dominate dalla potenza dei mezzi, dalla forza di convincimento, ma da quella debolezza che sola sa fidarsi della presenza di Dio e del suo intervento.
- Accettare che solo il Cristo Signore è il Salvatore. Riconoscere cioè che noi non siamo i salvatori della nostra vita, non ne siamo capaci. Il Salvatore è lui, è il Cristo Signore. L'uomo di oggi pretende di salvarsi da sé, con le sue forze, in questo modo non può accogliere il Salvatore. 
Abbiamo bisogno di convertirci all'umiltà del cuore, solo allora saremo in grado di ricevere il Signore che oggi viene, allora saremo capaci, come i pastori di udire il canto angelico di lode celeste: "Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama". Solo allora inizierà un nuovo mondo in cui Dio dal più alto dei cieli regna sulla terra con la Pace e con l'Amore: per questo gli uomini accogliendo Dio realizzeranno pienamente la propria umanità e attingeranno da lì il senso, la direzione e la forza per condurre la storia alla meta che Dio ha pensato per essa: Gesù Cristo il Salvatore. Allora sarà veramente Natale, la gioia e la pace che Dio vuole donarci sarà realtà quotidiana. Che questo Natale possa essere da noi accolto, vissuto, e che per l'uomo inizi oggi un nuovo cammino.

martedì 20 dicembre 2011

IV Domenica Avvento 2011


Prima Lettura  2 Sam 7, 1-5.8b-12.14a.16
Il regno di Davide sarà saldo per sempre davanti al Signore.
 

Dal secondo libro di Samuèle.
Il re Davide, quando si fu stabilito nella sua casa, e il Signore gli ebbe dato riposo da tutti i suoi nemici all’intorno, disse al profeta Natan: «Vedi, io abito in una casa di cedro, mentre l’arca di Dio sta sotto i teli di una tenda». Natan rispose al re: «Va’, fa’ quanto hai in cuor tuo, perché il Signore è con te». 
Ma quella stessa notte fu rivolta a Natan questa parola del Signore: «Va’ e di’ al mio servo Davide: “Così dice il Signore: Forse tu mi costruirai una casa, perché io vi abiti? Io ti ho preso dal pascolo, mentre seguivi il gregge, perché tu fossi capo del mio popolo Israele. Sono stato con te dovunque sei andato, ho distrutto tutti i tuoi nemici davanti a te e renderò il tuo nome grande come quello dei grandi che sono sulla terra. Fisserò un luogo per Israele, mio popolo, e ve lo pianterò perché vi abiti e non tremi più e i malfattori non lo opprimano come in passato e come dal giorno in cui avevo stabilito dei giudici sul mio popolo Israele. Ti darò riposo da tutti i tuoi nemici. Il Signore ti annuncia che farà a te una casa. 
Quando i tuoi giorni saranno compiuti e tu dormirai con i tuoi padri, io susciterò un tuo discendente dopo di te, uscito dalle tue viscere, e renderò stabile il suo regno. Io sarò per lui padre ed egli sarà per me figlio. 
La tua casa e il tuo regno saranno saldi per sempre davanti a me, il tuo trono sarà reso stabile per sempre”».



Vangelo  Lc 1, 26-38
Ecco concepirai un figlio e lo darai alla luce.
 

Dal vangelo secondo Luca
In quel tempo, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Rallègrati, piena di grazia: il Signore è con te».
A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».
Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio». 
Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l’angelo si allontanò da lei.


La prima lettura, presa dal secondo libro di Samuele, ci parla del re Davide che ha ormai conquistato e ricostruito Gerusalemme. Dopo aver realizzato per sé una casa sorge spontaneo il desiderio di farla anche a Dio, fino ad allora infatti l'Arca, "luogo" della presenza di Dio, si trovava sotto una tenda. 
Davide manifesta al profeta Natan questo desiderio ed ha da lui l'incoraggiamento a realizzare quanto sente nel cuore. Tutti questi progetti sono stravolti da Dio: sia Natan che Davide devono ricredersi di fronte alla parola che il Signore affida al profeta. Sarà Dio stesso a costruirsi una casa. Anzi Dio rivela che non desidera costruire una casa di pietre, ma un "casato" ovvero una discendenza. 
Ciò vuol dire che la casa di Dio è la vita stessa dell'uomo.

Nel Vangelo si realizza pienamente questo desiderio. L'iniziativa di mandare l'angelo è di Dio, sua e anche la scelta del paese e di una donna, Maria. Dio non sceglie quello che l'uomo avrebbe scelto: non la grandezza o il successo, ma la piccolezza e l'insignificanza di un villaggio misero e sconosciuto e di una donna di umile estrazione.
L'angelo dice subito "rallegrati", il progetto di Dio è felicità per l'uomo.
L'uomo è collaboratore di questo progetto, Maria "si domandava" il senso di tutto questo, ovvero deve applicarsi nella sua intelligenza, nelle sue conoscenze, alla luce della Sacra Scrittura su quello che è il progetto di Dio. Maria è chiamata ad assumerlo, a farlo suo liberamente, a rinunciare a qualunque altro suo progetto. Dio entra nella nostra umanità attraverso la libertà dell'uomo, Maria risponde con il suo sì, senza condizioni. 
L'ultima frase che l'Angelo rivolge a Maria è "nulla è impossibile a Dio": Maria ha creduto all'onnipotenza di Dio.

"Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola".
Maria si dichiara serva, piccola e obbediente, e questo rende possibile alla Parola di farsi "evento" per mezzo di lei.

Preparandoci al Natale anche noi scopriamo che Dio vuole costruire la sua casa nella nostra vita, Maria ci fa vedere come dobbiamo rispondere a questo progetto di Dio. Ci chiede di accogliere la sua iniziativa, di ascoltare la sua Parola: di fargli posto dentro di noi. 
E' una Parola altra da noi, che ci raggiunge e se accettata trasforma. 
Ecco perché è necessario scoprire la dimensione del silenzio e mettere in secondo piano i nostri bisogni tante volte dettati dall'egoismo. 
Noi non siamo i salvatori del mondo, dobbiamo permettere a Dio di esserlo, e nella modalità che Lui ha scelto, così diventeremo veri suoi collaboratori: testimoni, nelle concrete situazioni della vita, della sua presenza che salva, esito finale dell'incarnazione. 
Allora sarà veramente Natale: il Signore nascerà nelle nostre famiglie, nei luoghi di lavoro perché sarà presente nei nostri cuori.
Questo è anche il miglior augurio di buon Natale che possiamo farci.

lunedì 12 dicembre 2011

III Domenica Avvento 2011


Vangelo  Gv 1, 6-8. 19-28
In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete.
 

Dal vangelo secondo Giovanni
Venne un uomo mandato da Dio:
il suo nome era Giovanni.
Egli venne come testimone
per dare testimonianza alla luce,
perché tutti credessero per mezzo di lui.
Non era lui la luce,
ma doveva dare testimonianza alla luce.
Questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e levìti a interrogarlo: «Tu, chi sei?». Egli confessò e non negò. Confessò: «Io non sono il Cristo». Allora gli chiesero: «Chi sei, dunque? Sei tu Elia?». «Non lo sono», disse. «Sei tu il profeta?». «No», rispose. Gli dissero allora: «Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?». Rispose: «Io sono voce di uno che grida nel deserto: Rendete diritta la via del Signore, come disse il profeta Isaìa». 
Quelli che erano stati inviati venivano dai farisei. Essi lo interrogarono e gli dissero: «Perché dunque tu battezzi, se non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?». Giovanni rispose loro: «Io battezzo nell’acqua. In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, colui che viene dopo di me: a lui io non sono degno di slegare il laccio del sandalo». 
Questo avvenne in Betània, al di là del Giordano, dove Giovanni stava battezzando.


"Venne un uomo mandato da Dio".
Tutto parte da lì, Dio vuole entrare nel mondo attraverso degli uomini che lui stesso manda: questo vale anche per noi. 
La Chiesa ha ricevuto da Cristo stesso il mandato di andare ad ammaestrare le genti. Che importanza do all'insegnamento della Chiesa?

"Il suo nome era Giovanni".
Il nome indica una relazione personale e unica tra lui e colui "che manda". Così anche noi nel Battesimo siamo entrati in intimità con Dio.

"Venne come testimone per dare testimonianza alla luce".
Giovanni non indica se stesso, ma qualcun'altro. Il suo venire ha un fine preciso: l'essere testimone di questa realtà. Tale è colui che ha visto qualcosa e lo riferisce. Giovanni ne è consapevole e paragona ciò che ha incontrato all'esperienza umana della luce. Solo partendo da essa è possibile rendersi conto della situazione precedente, che evidentemente era di buio. Attraverso questa luce si vedono cose di cui non ci si poteva accorgere prima.
Anche noi come cristiani siamo chiamati alla testimonianza. Il percorso che fa Giovanni battista dovrebbe allora essere il nostro: all'ultimo c'è la testimonianza, ma prima l'essere chiamati per nome, l'essere mandati, e all'inizio c'è l'esperienza della luce che illumina la propria vita e le realtà che ci circondano: in definitiva c'è l'incontro con Dio.
Nel contesto di oggi, dove tutto è rivolto all'azione e alle opere, rischiamo di perdere questa sorgente che è l'unica che possa dare senso e credibilità alla testimonianza.

"Perché tutti credessero per mezzo di lui".
Ecco il fine della testimonianza, dall'annuncio si genera la fede.

"In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete".
Giovanni con la sua esperienza può fare questa affermazione.
In mezzo a noi sta il Signore, ma noi lo conosciamo? 
Lui è nei Sacramenti: vedi come poco lo conosciamo? Spesso li disertiamo o con una scarsa frequenza o con una scarsa fede!

Da Gerusalemme andarono sacerdoti e leviti per interrogarlo: vanno dietro alle varie "voci", Giovanni battista ne è una tra tante. 
Questo è anche il nostro contesto: ci sono tante "voci" intorno a noi, e l'uomo spesso si lascia ammaliare da esse. C'è però una "voce" diversa dalle altre perché ha la capacità in sé di rispondere a tutte le domande dell'uomo. Non si distingue per il suo essere "voce", ma per il contenuto. È la "voce/Persona", che bussa alla porta del nostro cuore, che genera in coloro che si aprono l'incontro, e quindi la conoscenza come rapporto di intimità.
Dio si è voluto servire dell'uomo per comunicarsi, ha voluto scegliere la debolezza e la fragilità umana, non la potenza. Ha voluto manifestare, anche in questa modalità, lo "scandalo della croce". Non sono i mezzi che fanno arrivare l'annuncio, ma è in sé la potenza del suo contenuto, ovvero della Parola. Ecco perché prima di tutto non dobbiamo puntare sui mezzi, ma sul contenuto che diamo.
La Parola è oggi da noi annunciata? E questo annuncio in che cosa consiste?
Stiamo vivendo oggi un tempo di crisi che ha interessato, nella sua ultima espressione, l'ambito economico: in questo contesto siamo chiamati a riscoprire l'essenza della testimonianza che siamo chiamati a dare, spogliandola di tante sovrastrutture che hanno appesantito l'annuncio, quando non l'hanno travisato.

In Giovanni vediamo colui che vive della parola, tutta la sua esistenza è orientata a Gesù Cristo, ha lui come origine, come percorso, come fine. E il suo annuncio è sì verbale, ma contemporaneamente esistenziale. Si tratta allora di vedere se prima di tutto il Vangelo dà forma alla nostra vita, se lo leggiamo, se lo meditiamo, se accettiamo il suo giudizio, se da esso partiamo per un cambiamento di vita.

martedì 6 dicembre 2011

II Domenica Avvento 2011


Vangelo  Mc 1, 1-8
Raddrizzate le vie del Signore.
  

Dal vangelo secondo Marco
Inizio del vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio. 
Come sta scritto nel profeta Isaìa:
«Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero:
egli preparerà la tua via.
Voce di uno che grida nel deserto:
Preparate la via del Signore,
raddrizzate i suoi sentieri»,
vi fu Giovanni, che battezzava nel deserto e proclamava un battesimo di conversione per il perdono dei peccati. 
Accorrevano a lui tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme. E si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati. 
Giovanni era vestito di peli di cammello, con una cintura di pelle attorno ai fianchi, e mangiava cavallette e miele selvatico. E proclamava: «Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo».


I grandi eventi vanno preparati, questo vale ancora di più per l'Evento, centro di tutta la storia e di tutto il creato: Dio si fa uomo!
Domenica scorsa il Vangelo ci aveva detto di vegliare, oggi scopriamo che per fare questo abbiamo bisogno di un cuore nuovo, rigenerato attraverso un cammino di purificazione, di guarigione dalla cecità spirituale, oggi molto diffusa. Essa è causata dal peccato, ma chi ne è dentro non se ne rende conto, è come se dormisse vivendo in una totale insensibilità: non conosce la realtà di Dio e non sa quello che perde perché non si è aperto all'Amore di Dio. In qualche misura tutti quanti siamo in questa condizione, non sappiamo fino in fondo cosa sia il peccato, non tanto in senso morale, ma spirituale ed esistenziale, direi relazionale. L'invito è a vivere questo periodo come cammino penitenziale e a celebrare il Sacramento della Riconciliazione. Il messaggio di Giovanni battista non è sorpassato, il Vangelo altrimenti non lo riporterebbe. Esso è necessario se vogliamo riconoscere in "Colui che viene" il vero Dio fatto uomo. Dobbiamo infatti riconoscerlo in un bambino piccolo, povero e bisognoso di tutto: ecco perché è necessario avere occhi attenti al piano ineffabile di Dio.

"Accorrevano a lui tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme".
C'è bisogno di correre, Dio vuole persone che sappiano scegliere prontamente. In gioco c'è la risposta definitiva alle attese dell'uomo, la sua salvezza. Se facciamo questo cammino di preparazione allora sentiremo in noi il bisogno di un nuovo inizio, di ricominciare daccapo, con una vita nuova. E qui proprio di inizio si parla:
"Inizio del Vangelo di Gesù Cristo".
È il vero inizio. La nascita di Gesù è il centro, l'apice e il compimento di tutta la storia e del cosmo intero. E se per noi diventa un "inizio" vuol dire che diventa la base su cui fondare la vita.
Vangelo non è un libro, ma significa "buona notizia", non fra tante altre, ma buona notizia per eccellenza. Marco ce ne dà anche la ragione aggiungendo che questa buona notizia riguarda Gesù Cristo, cioè il Dio fatto uomo, il Figlio di Dio. Ecco perché non ci può essere una migliore notizia, rendiamocene conto, Dio si rivela, Dio ci raggiunge, Dio abita la nostra umanità, Dio ci eleva alla sua stessa dignità.
Noi abbiamo ricevuto il "battesimo in spirito Santo", ma dobbiamo sempre più scoprire ed accogliere questo dono.
L'Avvento è l'occasione buona: camminiamo insieme verso il Signore che viene!

lunedì 28 novembre 2011

I Domenica Avvento 2011


Vangelo  Mc 13, 33-37
Vegliate: non sapete quando il padrone di casa ritornerà.
 

Dal vangelo secondo Marco

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento. È come un uomo, che è partito dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai suoi servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vegliare.
Vegliate dunque: voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino; fate in modo che, giungendo all’improvviso, non vi trovi addormentati.
Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!».






All'inizio dell'anno liturgico troviamo il tema della vigilanza, del vegliare. Atteggiamento che dobbiamo far nostro per vivere bene il tempo di Avvento cioè la preparazione al Natale. Questo era anche il tema che abbiamo trovato nelle ultime domeniche dell'anno liturgico precedente, per esempio nel brano delle 10 vergini, dove tutto era rivolto a prepararci alla solennità conclusiva dell'anno, quella di Cristo re dell'universo. Sembra allora che lo stesso calendario liturgico voglia dirci qualcosa: tu sarai pronto ad accogliere Cristo re dell'universo nella sua ultima e gloriosa venuta solo se lo riconoscerai, con la stessa attenzione, nella sua venuta quotidiana che è fondata sull'evento storico dell'incarnazione avvenuta 2000 anni fa e che ricordiamo nel Natale. Non per nulla il brano letto in questa domenica si inserisce anch'esso in un contesto di venuta finale del Cristo.

"Fate attenzione, vegliate".
Il brano letto sembra riassumersi in questi due imperativi che vengono giustapposti quasi come se descrivesse la stessa disposizione interiore che siamo invitati ad assumere. Con l'imperativo "fate attenzione" l'evangelista Marco sembra scandire tutto il capitolo 13. Lo si trova infatti qui per ben quattro volte su un totale di otto in tutto il Vangelo. Il termine originale greco più che con "fate attenzione" è da tradurre con "guardate". Per comprendere la portata di questo verbo è utile leggere Marco 8,18, che riporta la profezia di Geremia, dove si dice che Israele ha gli occhi ma non vede, ha le orecchie ma non sente. Sembra dunque che il "guardare" non sia mai isolato, ma generalmente sempre collegato, secondo la tradizione profetica, al tema dell'udire. Lo sfondo profetico di questo imperativo chiede allora non tanto di usare bene gli occhi, ma di coltivare un atteggiamento di ascolto che implichi anche un sapersi rivolge verso una direzione precisa, per poter sentire e vedere le cose che accadono. Ecco perché il termine è stato tradotto con "fate attenzione", proprio per indicare un atteggiamento più globale che investe la totalità della persona.

La piccola parabola che segue chiarisce ancora di più il concetto. Si parla di un padrone di casa che ha dato il potere ai suoi servi: si descrive cioè una relazione particolare che per esistere ha bisogno di essere riconosciuta. Cioè il servo deve essere consapevole di avere un padrone che è "come un uomo che è partito" cioè la sua presenza è nel contempo anche assenza. Naturalmente i termini della parabola sono chiari: questo "padrone della casa" è Dio stesso e il servo è l'uomo. Da alcuni secoli nella nostra cultura si è sempre di più affermato l'uomo come centro dell'universo, padrone assoluto. Questo è per noi una difficoltà, rischia di illudere e di ingannare: l'uomo non è il padrone. E questo è anche il dato più ragionevole: l'uomo non può aggiungere un solo secondo alla propria vita, cioè non ha in sé la vita, non ne è padrone.
I "servi" non sono schiavi, hanno ricevuto dal padrone di casa una grande dignità: hanno la casa stessa e il potere su di essa. A ciascuno è stato dato un compito, quindi non hanno ricevuto soltanto, ma questo ricevere implica una responsabilità. Tutto sembra cioè fondato su una relazione interpersonale tra il servo e il padrone della casa, tra Dio e l'uomo. Ecco perché l'ascolto è una dimensione fondamentale, perché ascoltare vuol dire rapporto a due, relazione, incontro d'amore. Ma per fare tutto questo devi scoprire questa realtà e la devi accettare. Devi scoprire che Dio si manifesta nei segni deboli, piccoli quali sono i Sacramenti. Solo se saprai scorgerlo lì, solo se saprai scorgerlo nella grotta, bambino bisognoso di tutto, solo allora sarà Natale, solo allora lo potrai accogliere nel suo avvento glorioso finale. Dio ci dà ancora tempo, possiamo cambiare, possiamo crescere nello sguardo che sa cogliere la sua presenza nella sua apparente assenza.
È tempo di Avvento: vegliate!

martedì 22 novembre 2011

N.S. GESÙ CRISTO - RE DELL'UNIVERSO

Vangelo  Mt 25,31-46
Siederà sul trono della sua gloria e separerà gli uni dagli altri.

Dal vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra.
Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”.
Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”.
Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”.
Anch’essi allora risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?”. Allora egli risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me”.
E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna».




Matteo scrive per una comunità di ebrei che ha accolto Gesù, ma che ha difficoltà a sganciarsi da  tutte le sue tradizioni. Nel mondo ebraico infatti si riteneva che gli ebrei, in quanto eredi di Abramo, fossero già salvi e non andassero incontro a nessun giudizio. Il giudizio era soltanto per i pagani; così troviamo nel Talmud l’immagine di Dio  che sta in trono, ecco perché questo brano è riportato solo da Matteo e non c'è negli altri evangelisti.
Qui si descrive quindi una parte del giudizio universale, lo si vede anche dal brano stesso che parla in entrambi i casi di persone che non hanno riconosciuto Gesù nel povero. Queste non possono essere che pagane perché il cristiano lo sa, il Vangelo di oggi lo rivela: aiutando i bisognosi si aiuta Gesù. Inoltre nel brano c'è una terza categoria di persone, oltre a quelle che sono alla destra e alla sinistra, e cioè: "questi miei fratelli più piccoli".
Gli evangelisti fanno un uso molto attento della loro terminologia, è allora importante tradurre con esattezza i termini che essi  adoperano. Il termine popolo, nella lingua greca del Vangelo, si scrive in due maniere, una è "laos" e l'altra "etne", che anche noi adoperiamo. Il termine "laos" significa il popolo d’Israele, il popolo eletto, il termine "etne", riguarda i popoli pagani. La parola tradotta nel nostro testo con "popoli" è "etne". Quindi la domanda a cui Matteo vuole risponde è relativa al giudizio di quella parte di umanità che non conosce Gesù e che è numericamente più consistente: riguarda quindi particolarmente i pagani.  Anche la traduzione latina del testo non rendeva  questa differenza tra i due termini.
Matteo prende l’immagine dal Talmud: per i pagani che non hanno la legge e non hanno conosciuto Gesù Cristo ci sono i comandamenti minimi dell’amore che riguarda il bene degli altri. A loro si chiederà: avevo fame e tu mi hai dato da mangiare? Verranno chieste cioè le elementari risposte ai bisogni dell’uomo e saranno quindi giudicati in base alle opere di bene che hanno fatto nei confronti dei bisognosi e che sono iscritte anche nella retta coscienza di ogni uomo. Solo nell'ultimo giorno queste persone scopriranno che quando hanno fatto queste azioni a una persona bisognosa l'hanno fatto a Gesù stesso.
Ai cristiani invece sarà chiesto se essi sono diventati "questi miei fratelli più piccoli":
"fratelli", cioè conformati pienamente al Cristo con tutte le conseguenze che questo ha;
"più piccoli" cioè Cristo per primo si è abbassato, come dice l'inno della Lettera ai Filippesi, per far sì che ciascuno di noi possa entrare nell'intimità di Dio. Allora è importante farci piccoli per accogliere Dio dentro di noi e rispondere così a quel mistero che è l'incarnazione. Maria ne è l'esempio massimo.
La domanda perciò è questa: chi è per te Gesù? Da questa risposta dipende tutto. 
Oggi è diffusa una interpretazione "secolarizzata" di questo brano che è entrata nella mentalità di molti cristiani, che dicono: "nella vita basta fare del bene". Così pensando riducono tutto al secolo, all'orizzontale, al materiale, a semplice filantropia, a questo mondo. Fare il bene è senz'altro una cosa buona, ma non basta perché i cristiani hanno ricevuto una chiamata ulteriore, quella di annunciare il Regno dei Cieli, e su questa saranno giudicati. I credenti hanno quindi una grande opportunità: possono essere già "fratelli" del Signore, già inseriti in Dio, già nella sua gioia. In un certo senso, il credente è giudicato tutti i giorni e per lui il giudizio si chiama Conversione. Anche i credenti passeranno dal giudizio universale e saranno giudicati allora in base alla fede in Gesù Cristo, quella fede che è un tutt'uno con le opere, e che infatti produce la Carità, che è di più del semplice aiuto fraterno: è dare la vita.

sabato 12 novembre 2011

Domenica XXXIII Tempo Ordinario

Vangelo  Mt 25,14-30 (Forma breve Mt 25,14-15.19-21)
Sei stato fedele nel poco, prendi parte alla gioia del tuo padrone.

Dal vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola:
«Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì.

Subito colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone. 
Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro.
Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.

Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: “Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.
Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo”.
Il padrone gli rispose: “Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”».




Nelle domeniche precedenti l'invito era chiaro: 
"vegliate perché non sapete né il giorno né l'ora".

Questa domenica scopriamo che questo vegliare non è passività, ma il Signore ci invita a collaborare all'azione della sua Grazia.
Si parla qui di un uomo che parte per un viaggio, intendendo subito che Gesù sta parlando di se stesso; poi questo padrone torna, è il suo ritorno glorioso: la parabola riguarda il comportamento del cristiano nel frattempo. 
Questo padrone dà ai suoi servi delle somme diverse poi se ne va. Il primo e il secondo investono le loro cifre, il terzo invece sotterra tutto. Il padrone tornando vuole regolare i conti con i tre servi. I primi due avevano investito il denaro e ricevono l'elogio dal padrone il terzo invece aveva sepolto il talento affidatogli e il padrone gli dice "servo malvagio infingardo, sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso avresti dovuto affidare il denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l'interesse".

Qual è l'errore di questo servo malvagio?

Lui riconosce che il padrone miete dove non ha seminato e raccoglie dove non ha sparso, cioè in pratica dice che fa tutto da sé: lo sbagliato è proprio qui, questo padrone infatti non fa da sé, ma chiede la nostra collaborazione. L'errore allora sta nel non aver conosciuto la vera identità del padrone, nel non essersi aperto alla sua rivelazione.

I talenti sono la Grazia che continuamente Dio diversa nei nostri cuori, ma collaboriamo perché questa porti frutto?
Viviamo la relazione con Dio come collaborazione oppure come passività?
Consideriamo Dio come colui che dona i talenti oppure abbiamo paura di lui?
Ci siamo accorti che lui ci ama e quindi ci chiede entrare in questa relazione, che è trasformante e quindi vuole la vostra disponibilità al cambiamento, oppure lo consideriamo più un giudice spietato e quindi abbiamo paura di lui?

Questi doni poi sono di tipo monetario. I soldi hanno in sé la capacità di aumentare se investiti bene. Fuori metafora: la Grazia di Dio ha in sé la forza di portare frutto, per far questo però è necessario che chi la riceve, cioè l'uomo, collabori con essa.

Il padrone non domanda di restituire i talenti guadagnati e neanche quelli che lui stesso aveva dato, ma anzi aggiunge ancora qualcosa, ad entrambi i servi fedeli infatti dice: "sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.
Sei stato fedele, è la fedeltà ciò che ci chiede il Signore e proprio per questa i servi riceveranno qualcosa di qualitativamente superiore, la gioia del padrone. Ma la fedeltà evidenzia l'esistenza di un rapporto di fiducia con il padrone, cioè di una relazione. 
Anche a noi Dio chiede di essere fedeli alla Grazia che abbiamo ricevuto, cioè ai Sacramenti che continuamente ce la donano. Essa ci spinge alla testimonianza cioè alle opere di bene e porta con sé il prendere parte alla gioia del padrone. Anche qui scopriamo l'identità di questo padrone: non è invidioso né geloso della propria gioia, ma la vuole condividere con noi.

Oggi viviamo in un tempo difficile, oggi è chiesta a noi la fedeltà al "padrone" cioè a Dio. In un tempo di crisi di fede come questo che viviamo ecco la direzione da percorrere. 
Oggi dobbiamo essere docili collaboratori della Grazia ricevuta nei Sacramenti, che vanno vissuti quindi con fede, perché portino i frutti che Dio spera cioè le opere di carità: la più grande di queste è la testimonianza del Regno dei cieli.
In un mondo immerso sempre di più nella tristezza è necessario annunciare che Dio attraverso questa strada vuole donarci la sua gioia, che è l'unica vera.

lunedì 7 novembre 2011

Domenica XXXII Tempo Ordinario

Vangelo  Mt 25,1-13
Ecco lo sposo! Andategli incontro!

Dal vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola:
«Il regno dei cieli sarà simile a dieci vergini che presero le loro lampade e uscirono incontro allo sposo. Cinque di esse erano stolte e cinque sagge; le stolte presero le loro lampade, ma non presero con sé l’olio; le sagge invece, insieme alle loro lampade, presero anche l’olio in piccoli vasi. Poiché lo sposo tardava, si assopirono tutte e si addormentarono.
A mezzanotte si alzò un grido: “Ecco lo sposo! Andategli incontro!”. Allora tutte quelle vergini si destarono e prepararono le loro lampade. Le stolte dissero alle sagge: “Dateci un po’ del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono”. Le sagge risposero: “No, perché non venga a mancare a noi e a voi; andate piuttosto dai venditori e compratevene”.
Ora, mentre quelle andavano a comprare l’olio, arrivò lo sposo e le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze, e la porta fu chiusa. Più tardi arrivarono anche le altre vergini e incominciarono a dire: “Signore, signore, aprici!”. Ma egli rispose: “In verità io vi dico: non vi conosco”.
Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora».




La differenza che esiste tra le vergini sagge e stolte è svelata in fondo al Vangelo: quando le stolte chiedono di entrare il Signore risponde "in verità io vi dico: non vi conosco". Allora è possibile rileggere l'intera parabola da questo punto. Siamo all'interno del discorso escatologico cioè del giudizio finale, ma il sì finale è legato alle scelte quotidiane: la risposta finale e definitiva, dipende dal mio "oggi", anche perché Gesù avverte "non sapete né il giorno né l'ora". Dipende dai mio "conoscere" Gesù, conoscere che non è intellettuale soltanto, ma interpersonale: è incontro. E questo è necessariamente personale, le vergini sagge non possono dare l'olio alle stolte, ovvero il mio sì non può essere sostituito da quello di qualcun'altro.

Tutte le vergini sono accomunate da tre movimenti:
1) prendono le lampade
Le lampade sono una piccola luce, tutto intorno è buio: è metafora del cammino della nostra vita, il mondo è oscurità, ma noi abbiamo questa piccola luce che ci accompagna. Questo è il nostro grande tesoro. Nel Battesimo abbiamo ricevuto questa luce che è stata accesa dal cero pasquale.
2) escono
La vita è un uscire: uscire dagli spazi chiusi nel nostro io per aprirci all'Altro, alla relazione. Cioè a Dio.
3) vanno incontro allo sposo.
La direzione è ben precisa, c'è uno "sposo" da incontrare, oggi, e questa è la bellezza della nostra esistenza. Nella vita possiamo mettere tante priorità, percorrere tante direzioni, fare tanti incontri, ma ce ne deve essere uno al di sopra di tutti, è l'incontro con Dio. In questo modo scopriamo che la relazione con lui è di tipo sponsale e fonda anche le vere relazioni con gli altri, con i fratelli.

Gesù non spiega cosa sia l'olio delle lampade. Ma dall'olio nasce la luce: Gesù in altra parte del Vangelo ha detto "Voi siete la luce del mondo" riferendosi ai suoi discepoli: l'olio allora è la fede che si concretizza nelle opere che tutti vedono (la luce). Esse diventano allora trasparenza dell'incontro con Dio, della relazione con lui, della conoscenza di lui: traboccamento di amore che si riversa nel mondo.
E' importante notare che tutte le vergini hanno all'inizio lo stesso movimento: prendono le lampade, escono e vanno incontro allo sposo, esprimono cioè tutte il desiderio di questo incontro: ma ciò non basta. Non è sufficiente, per l'ultimo giorno, il desiderio di "entrare alle nozze"; non basta riconoscere "la voce dello sposo": è necessario l'olio. Nella vita non possiamo vivere con superficialità, con un vago sentimento di Dio, ma è necessario ogni giorno crescere nella fede: il desiderio di incontrarLo si rende concreto nel far posto a lui, nel rinnegare noi stessi, la nostra presunzione; nel fuggire dal nostro peccato.

Prepariamoci allora, ogni giorno, nella vigilanza e arriveremo all'appuntamento finale per entrare nel banchetto delle nozze: nella felicità eterna.

sabato 29 ottobre 2011

Domenica XXXI Tempo Ordinario

Vangelo  Mt 23,1-12
Dicono e non fanno

Dal vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo:
«Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito.
Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange; si compiacciono dei posti d’onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati “rabbì” dalla gente.
Ma voi non fatevi chiamare “rabbì”, perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate “padre” nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. E non fatevi chiamare “guide”, perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo.
Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato».






Gesù, nella contrapposizione con gli scribi e i farisei, sta indicando ai suoi discepoli e alla folla a cui si rivolge che cosa desidera realizzare con la loro adesione: un nuovo gruppo che poi successivamente sarà chiamato con il nome di cristiani. Gesù indica come vuole i suoi: ma voi non fatevi chiamare rabbì, uno solo è il maestro, i suoi sono coloro che si lasciano ammaestrare da Lui; non chiamate padre nessuno di voi sulla terra perché uno solo è il Padre vostro quello celeste, i suoi sono quelli che hanno una relazione profonda con il Padre; non fatevi chiamare guide perché una sola è la vostra guida, il Cristo: sono coloro che si lasciano guidare. L'attualizzazione per noi è già chiara: il Signore c'invita ad avere queste coordinate nella vita e non averle soltanto esteriormente, ma in quella sintonia che ci deve essere tra dire e fare, tra il cuore e l'azione. Questo denuncia negli scribi e nei farisei: hanno pervertito la stessa religione perché la religione è relazione con Dio, loro invece l'hanno usata e la usano in modo strumentale per essere primi, sono ipocriti, dicono ma non fanno. Noi cristiani invece dobbiamo vivere questa sintonia fra dire e fare. Gesù si sta riferendo ad un livello di scelta, di volontà: queste persone non vogliono portare quel che mettono sulle spalle degli altri, non vogliono: quindi c'è una decisione! Siamo oltre cioè la costatazione della debolezza umana che porta da una parte il desiderio di vivere in conformità a quello che ci dice il Signore, e dall'altra la costatazione della nostra debolezza. Queste persone sono viste da Dio con quella compassione che diventa invito a vivere sempre più una vita conforme al Vangelo, a togliere sempre più dal cuore, con l'aiuto della grazia, le varie dimensioni di falsità che però minacciano e si annidano in qualche misura anche nel nostro cuore. Dobbiamo togliere da noi quella terribile tentazione che è l'applauso, il consenso: amano andare nelle piazze, occupare i primi seggi: fanno tutto in funzione di questo primato che vogliono dare a se stessi, primato che di fatto li costringere ad essere prigionieri di sé, perché la vera libertà sta nell'aprirsi, sta nella relazione, in quella relazione fondante che domenica scorsa il Signore ci aveva indicato: amare Dio con tutto noi stessi e il prossimo come noi stessi.
Gesù ci chiama ad essere persone che non dividono la vita dalla fede: è il pericolo di oggi. La cultura che ci circonda cerca di dire: vai pure alla Messa ma non dire nulla di quello che poi è conseguenza dell'andare alla Messa; vivi la tua religione ma nella tua stanza privata. E invece no, non è possibile questo perché la forza dirompente del Vangelo non può rimanere contenuta nel cuore, ha bisogno di essere comunicata. E può esserlo  soltanto nella misura in cui la viviamo, ecco il testimone: cioè colui che prime "vede" e poi dice.
Per esempio il Signore, oggi, attraverso la seconda lettura, ci comunicava la gioia di Paolo per la comunità di Tessalonica alla quale riconosceva il merito di aver "accolto la Parola di Dio non quale parola di uomini ma com'è veramente, come parola di Dio che opera in voi credenti". La coerenza ci chiede di vivere questa verità, e questa situazione non è così lontana da noi: qui abbiamo ascoltato la parola, ma come l'abbiamo accolta, come parola di uomini o come parola di Dio? La parola degli uomini lascia il tempo che trova, ma la parola di Dio fa il più grande miracolo, opera in noi una trasformazione, ci configura a Cristo, ci innalza alla dignità divina di figli di Dio. Questa parola opera però solo nei credenti, va cioè accolta con fede, il cristiano in definitiva è colui che dà disponibilità e collabora con questa azione, che permette ad essa di purificare il proprio cuore affinché la mente sia in sintonia con il cuore, la parola con l'azione, la vita con la fede, il Vangelo con la nostra quotidianità.

Anche la partecipazione alla liturgia ha bisogno di questa purificazione. Come dice il Concilio Vaticano II nella Sacrosanctum Concilium (n°11) perché la liturgia sia efficace è necessario che i fedeli vi si accostino "con retta disposizione d'animo, armonizzino la loro mente con le parole che pronunziano e cooperino con la grazia divina per non riceverla invano." Armonizzare la mente con le parole chiede proprio una coerenza interiore: così parteciperemo veramente alla liturgia che celebriamo.

Infine la regola che dovrà governare la nuova comunità che Gesù vuol fondare è quella del servizio: "chi tra voi vorrà essere più grande sarà vostro servo". Gesù dice questo prima di tutto con la sua stessa vita, è lui il vero Servo e solo da lui possiamo imparare anche noi ad esserlo. Dobbiamo allora permettere a Gesù di servirci e lui lo fa proprio nella Liturgia Eucaristica dove viene, si fa nostro servo per trasformare il nostro cuore è renderlo simile al suo.

venerdì 21 ottobre 2011

Domenica XXX Tempo Ordinario


Vangelo  Mt 22,34-40
Amerai il Signore tuo Dio, e il tuo prossimo come te stesso.

Dal vangelo secondo Matteo
In quel tempo, i farisei, avendo udito che Gesù aveva chiuso la bocca ai sadducèi, si riunirono insieme e uno di loro, un dottore della Legge, lo interrogò per metterlo alla prova: «Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?».
Gli rispose: «“Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente”. Questo è il grande e primo comandamento. Il secondo poi è simile a quello: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti».





"Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti."


La legge e i profeti sono per Israele la Sacra Scrittura, Dio che si è rivelato nella storia di un popolo: costituendolo, liberandolo, guidandolo, correggendolo. In questi due comandamenti abbiamo cioè il compendio di una storia bimillenaria di presenza di Dio nelle vicende del suo popolo. Questo brano è quindi di capitale importanza per Israele, ma lo è anche per noi, nuovo popolo di Dio. 
La nostra vita per essere vissuta in pienezza ha bisogno di avere un centro, un fondamento, deve cioè attingere da un primato su cui poggiare.
Oggi viviamo in un contesto che spinge alla confusione, tante priorità che ci alienano. Il Vangelo di oggi ci fa scoprire che non possiamo uscire da questa situazione se non abbiamo il coraggio di rivolgerci al Maestro. 
Di fatto non troviamo in noi la risposta a questa esigenza, quella di avere un centro, ma la scopriamo fuori di noi: nella Parola che ci raggiunge. Se non siamo disposti ad accoglierla oggi, se non ci apriamo ad essa, rimaniamo chiusi in noi stessi, sbattuti qua e là da ogni "vento di dottrina". 
Allora oggi vogliamo con umiltà domandare al maestro qual'è il grande comandamento? Cioè qual'è il fondamento su cui poggiare la mia vita? Lui ci risponde!


“Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente”.


Il primato di cui abbiamo bisogno nasce da una decisione che è nostra, ecco perché è un comandamento! 
L'uomo non può amare Dio con le sue forze, ed amarlo senza misura come Lui chiede!
Può farlo soltanto se si scopre amato da Dio, di un amore infinito e che precede ogni decisione umana. L'amore però non può imporsi, cioè questo amore che Dio ha deciso di rivolgerci ha bisogno di essere accolto e questo sollecita la nostra libertà. Del resto essa si esprime attraverso una scelta, quindi principalmente attraverso la nostra volontà. Ecco perché è un comandamento! 
La nostra libertà deve in definitiva accettare di farsi amare da Dio. 
Questo è il più grande dei comandamenti, perché esso è di capitale importanza: è questione di vita o di morte!
Ma Dio è infinito, eterno, Lui è il "tutto", ecco perché ci chiede di amarlo con "tutto" noi stessi. Si comprende allora perché Gesù aggiunga un secondo comandamento: 


“Amerai il tuo prossimo come te stesso”


Questo comandamento non ha in sé una sua "autonomia", ma è, come dice il Vangelo, simile al primo: cioè ad esso intimamente collegato. Allora vuol dire non soltanto che quando amiamo il prossimo come noi stessi in effetti amiamo Dio con tutto noi stessi, ma anche che la condizione perché questo si realizzi è dettata dallo scoprire nel volto dell'altro il volto di Dio che lo ha creato a sua immagine e somiglianza: l'altro è opera, e quindi appartiene al "tutto" di Dio.
L'amore per il prossimo allora non è filantropia, ma presuppone ed ha bisogno di un primato vero dato a Dio. Ha bisogno di una scelta che si concretizza nel permettere a Dio di amarci.
Capiamo allora perché Gesù si mise a lavare i piedi ai suoi discepoli nel contesto dell'ultima Cena: i discepoli prima di manifestare l'amore verso i fratelli nell'annunciare la Parola di Dio (e questo è il più grande gesto di carità che una persona può fare ad un fratello!) dovevano accogliere l'amore di Dio che si concretizzava nel Suo servizio, nel lavare i piedi appunto.