sabato 12 novembre 2011

Domenica XXXIII Tempo Ordinario

Vangelo  Mt 25,14-30 (Forma breve Mt 25,14-15.19-21)
Sei stato fedele nel poco, prendi parte alla gioia del tuo padrone.

Dal vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola:
«Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì.

Subito colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone. 
Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro.
Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.

Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: “Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.
Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo”.
Il padrone gli rispose: “Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”».




Nelle domeniche precedenti l'invito era chiaro: 
"vegliate perché non sapete né il giorno né l'ora".

Questa domenica scopriamo che questo vegliare non è passività, ma il Signore ci invita a collaborare all'azione della sua Grazia.
Si parla qui di un uomo che parte per un viaggio, intendendo subito che Gesù sta parlando di se stesso; poi questo padrone torna, è il suo ritorno glorioso: la parabola riguarda il comportamento del cristiano nel frattempo. 
Questo padrone dà ai suoi servi delle somme diverse poi se ne va. Il primo e il secondo investono le loro cifre, il terzo invece sotterra tutto. Il padrone tornando vuole regolare i conti con i tre servi. I primi due avevano investito il denaro e ricevono l'elogio dal padrone il terzo invece aveva sepolto il talento affidatogli e il padrone gli dice "servo malvagio infingardo, sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso avresti dovuto affidare il denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l'interesse".

Qual è l'errore di questo servo malvagio?

Lui riconosce che il padrone miete dove non ha seminato e raccoglie dove non ha sparso, cioè in pratica dice che fa tutto da sé: lo sbagliato è proprio qui, questo padrone infatti non fa da sé, ma chiede la nostra collaborazione. L'errore allora sta nel non aver conosciuto la vera identità del padrone, nel non essersi aperto alla sua rivelazione.

I talenti sono la Grazia che continuamente Dio diversa nei nostri cuori, ma collaboriamo perché questa porti frutto?
Viviamo la relazione con Dio come collaborazione oppure come passività?
Consideriamo Dio come colui che dona i talenti oppure abbiamo paura di lui?
Ci siamo accorti che lui ci ama e quindi ci chiede entrare in questa relazione, che è trasformante e quindi vuole la vostra disponibilità al cambiamento, oppure lo consideriamo più un giudice spietato e quindi abbiamo paura di lui?

Questi doni poi sono di tipo monetario. I soldi hanno in sé la capacità di aumentare se investiti bene. Fuori metafora: la Grazia di Dio ha in sé la forza di portare frutto, per far questo però è necessario che chi la riceve, cioè l'uomo, collabori con essa.

Il padrone non domanda di restituire i talenti guadagnati e neanche quelli che lui stesso aveva dato, ma anzi aggiunge ancora qualcosa, ad entrambi i servi fedeli infatti dice: "sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.
Sei stato fedele, è la fedeltà ciò che ci chiede il Signore e proprio per questa i servi riceveranno qualcosa di qualitativamente superiore, la gioia del padrone. Ma la fedeltà evidenzia l'esistenza di un rapporto di fiducia con il padrone, cioè di una relazione. 
Anche a noi Dio chiede di essere fedeli alla Grazia che abbiamo ricevuto, cioè ai Sacramenti che continuamente ce la donano. Essa ci spinge alla testimonianza cioè alle opere di bene e porta con sé il prendere parte alla gioia del padrone. Anche qui scopriamo l'identità di questo padrone: non è invidioso né geloso della propria gioia, ma la vuole condividere con noi.

Oggi viviamo in un tempo difficile, oggi è chiesta a noi la fedeltà al "padrone" cioè a Dio. In un tempo di crisi di fede come questo che viviamo ecco la direzione da percorrere. 
Oggi dobbiamo essere docili collaboratori della Grazia ricevuta nei Sacramenti, che vanno vissuti quindi con fede, perché portino i frutti che Dio spera cioè le opere di carità: la più grande di queste è la testimonianza del Regno dei cieli.
In un mondo immerso sempre di più nella tristezza è necessario annunciare che Dio attraverso questa strada vuole donarci la sua gioia, che è l'unica vera.

lunedì 7 novembre 2011

Domenica XXXII Tempo Ordinario

Vangelo  Mt 25,1-13
Ecco lo sposo! Andategli incontro!

Dal vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola:
«Il regno dei cieli sarà simile a dieci vergini che presero le loro lampade e uscirono incontro allo sposo. Cinque di esse erano stolte e cinque sagge; le stolte presero le loro lampade, ma non presero con sé l’olio; le sagge invece, insieme alle loro lampade, presero anche l’olio in piccoli vasi. Poiché lo sposo tardava, si assopirono tutte e si addormentarono.
A mezzanotte si alzò un grido: “Ecco lo sposo! Andategli incontro!”. Allora tutte quelle vergini si destarono e prepararono le loro lampade. Le stolte dissero alle sagge: “Dateci un po’ del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono”. Le sagge risposero: “No, perché non venga a mancare a noi e a voi; andate piuttosto dai venditori e compratevene”.
Ora, mentre quelle andavano a comprare l’olio, arrivò lo sposo e le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze, e la porta fu chiusa. Più tardi arrivarono anche le altre vergini e incominciarono a dire: “Signore, signore, aprici!”. Ma egli rispose: “In verità io vi dico: non vi conosco”.
Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora».




La differenza che esiste tra le vergini sagge e stolte è svelata in fondo al Vangelo: quando le stolte chiedono di entrare il Signore risponde "in verità io vi dico: non vi conosco". Allora è possibile rileggere l'intera parabola da questo punto. Siamo all'interno del discorso escatologico cioè del giudizio finale, ma il sì finale è legato alle scelte quotidiane: la risposta finale e definitiva, dipende dal mio "oggi", anche perché Gesù avverte "non sapete né il giorno né l'ora". Dipende dai mio "conoscere" Gesù, conoscere che non è intellettuale soltanto, ma interpersonale: è incontro. E questo è necessariamente personale, le vergini sagge non possono dare l'olio alle stolte, ovvero il mio sì non può essere sostituito da quello di qualcun'altro.

Tutte le vergini sono accomunate da tre movimenti:
1) prendono le lampade
Le lampade sono una piccola luce, tutto intorno è buio: è metafora del cammino della nostra vita, il mondo è oscurità, ma noi abbiamo questa piccola luce che ci accompagna. Questo è il nostro grande tesoro. Nel Battesimo abbiamo ricevuto questa luce che è stata accesa dal cero pasquale.
2) escono
La vita è un uscire: uscire dagli spazi chiusi nel nostro io per aprirci all'Altro, alla relazione. Cioè a Dio.
3) vanno incontro allo sposo.
La direzione è ben precisa, c'è uno "sposo" da incontrare, oggi, e questa è la bellezza della nostra esistenza. Nella vita possiamo mettere tante priorità, percorrere tante direzioni, fare tanti incontri, ma ce ne deve essere uno al di sopra di tutti, è l'incontro con Dio. In questo modo scopriamo che la relazione con lui è di tipo sponsale e fonda anche le vere relazioni con gli altri, con i fratelli.

Gesù non spiega cosa sia l'olio delle lampade. Ma dall'olio nasce la luce: Gesù in altra parte del Vangelo ha detto "Voi siete la luce del mondo" riferendosi ai suoi discepoli: l'olio allora è la fede che si concretizza nelle opere che tutti vedono (la luce). Esse diventano allora trasparenza dell'incontro con Dio, della relazione con lui, della conoscenza di lui: traboccamento di amore che si riversa nel mondo.
E' importante notare che tutte le vergini hanno all'inizio lo stesso movimento: prendono le lampade, escono e vanno incontro allo sposo, esprimono cioè tutte il desiderio di questo incontro: ma ciò non basta. Non è sufficiente, per l'ultimo giorno, il desiderio di "entrare alle nozze"; non basta riconoscere "la voce dello sposo": è necessario l'olio. Nella vita non possiamo vivere con superficialità, con un vago sentimento di Dio, ma è necessario ogni giorno crescere nella fede: il desiderio di incontrarLo si rende concreto nel far posto a lui, nel rinnegare noi stessi, la nostra presunzione; nel fuggire dal nostro peccato.

Prepariamoci allora, ogni giorno, nella vigilanza e arriveremo all'appuntamento finale per entrare nel banchetto delle nozze: nella felicità eterna.